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Evoluzione dell'enotecnia e dell'industria enologica


    
     Fino a tempi relativamente recenti la preparazione del vino veniva eseguita in campagna e in maniera empirica dagli stessi viticoltori che, nella trasformazione del mosto in vino si affidavano alla natura e a qualche immagine sacra che talvolta affiggevano sulla botte in cui avveniva la fermentazione: l'enotecnia era in sostanza sconosciuta.
      L'attività vinicola industriale in Italia si fa risalire alla fine del XVIII secolo, quando nel 1773 l'inglese Giovanni Woodhouse procedette all'alcolizzazione del vino bianco di Marsala con poco più di due litri di alcol per ettolitro ed esattamente con due galloni di alcool (1 gallone inglese = 4,54 litri) per ogni botte di 412 litri.
      Egli successivamente, nel 1796, fondò a Marsala il primo stabilimento enologico, detto "Baglio" per la sua conformazione, e sottopose a "concia", con metodologie analoghe a quelle in uso a Jerez, Madera e Oporto, i vini alcolici locali e quelli dei vicini territori di Mazara, Castelvetrano e Castellamare e più tardi quelli di Alcamo e della parte occidentale della provincia di Palermo.
Il suo esempio fu subito seguito da un altro inglese, Beniamino Ingham, che nel 1812 iniziò la costruzione, anch'egli a Marsala nelle vicinanze del porto, di un modernissimo e razionale stabilimento enologico.
      L'Ingham studiò la coltivazione della vite e i metodi di fabbricazione dei vini più accreditati in Europa; era convinto che bisognava perfezionare e migliorare la produzione dei vini Marsala per sostenere la concorrenza dei vini spagnoli. Per mezzo di circolari lette da banditori con tamburo cercava pertanto di diffondere tra i viticultori le conoscenze acquisite e i risultati dei suoi studi sulla coltivazione dei vigneti e sulla vinificazione e conservazione dei vini. Famoso è il suo "decalogo", ossia le "brevi istruzioni per la vendemmia all'oggetto di migliorare la qualità dei vini", che pubblicò nel 1834:

     Egli è assolutamente necessario perché il vino risultasse di buona qualità e condizione che le uve siano perfettamente mature prima di dar mano alla vendemmia, perché se le uve non sono arrivate a perfetta maturazione, egli è indarno di voler pretendere che possano i vini riuscire di bella qualità.

     Nel raccogliere le uve si deve usare attenzione, per quanto è possibile, di togliere via tutte quelle che saranno trovate fracide ed anche immature; come altresì di levare tutti li grossi steli e le foglie prima di cominciare a pestarle.

     Si bisogna avere cura particolare, quando in un vigneto vi sono delle uve bianche e nere, di fare il mosto delle uve nere separato da quello delle uve bianche. Questa separazione che sembra portare la spesa di una duplicata vendemmia è largamente compensata dal vantaggio che si ottiene, trovandosi generalmente che le uve nere si maturano prima, nel non dovere aspettare che fossero ugualmente mature quelle bianche.

     La fermentazione del mosto nei palmenti è sommamente pregiudizievole al vino; per la qual cosa non devesi mai permettere che accada adottando a preferenza il metodo di pestare ed imbottare, detto pestimbotta.

     E' necessario che la fermentazione del mosto nelle stipe sia unica, regolare ed uguale; e per ciò riuscire badare bene di riempire la stipa ad una volta, o almeno infra poche ore; poiché se si riempie in due o tre volte, quel mosto che si sarà versato il primo, si troverà di avere cominciato a fermentare quando vi si verserà il secondo, e la fermentazione sarà così sospesa ed interrotta, con gravissimo danno alla qualità del vino.

     Affinché la fermentazione fosse regolare e non troppo violenta, è utilissimo per coloro i quali avranno un locale adatto di fare pestare le uve il giorno dopo che saranno raccolte, coprendole durante la notte con delle stoie, per conservarle dall'umido, con questo metodo la fermentazione sarà meno violenta e riuscirà più perfetta. Quale cosa è molto importante.

     Riesce di gran vantaggio di non mescolare con il mosto quello che se ne ricava solamente con forte compressione del torchio, e si raccomanda di sospendere lo stringimento, subitochè diventa necessaria una forza maggiore de quella dell'uomo. Il mosto che è stato compresso per mezzo del torchio sino a quel punto, devesi allora raccoglierlo per distribuirlo nelle stipe; ma quello che si ricaverà in seguito dal forte stringimento del torchio, dovrà conservarsi affatto separato; esso avrà proporzione, generalmente, come un quarto a tutta la quantità ottenuta dalla compressione del torchio e potrà servire per altri usi.

     Nel mettere il mosto nelle stipe, è molto necessario di impedire che i granelli ovvero acini di uva non pestata, o polpa o altro estraneo qualunque potesse entrarvi; ed a questo soggetto si raccomanda di usare un crivello di pelo, da adattarsi all'imbuto. Questa precauzione servirà appieno onde possa entrare nelle stipe il solo mosto liquido, senza acini non pestati, od altra qualunque materia.

     Si raccomanda di avere attenzione a lavare bene, tutte le sere, il palmento dove si è pestato ed il tinello dove è caduto il mosto per la giornata, per evitare ogni timore di agro.

     E' mestieri infine di por mente a lasciare un vuoto nelle stipe ove sarà posto il mosto, perché non esca la schiuma, la quale è necessaria onde riuscire perfetta la maturazione; a quest’oggetto sarebbe utile di mettere nel toraccio delle stipe (foro del cocchiume) un piccolo imbuto di latta alquanto largo al disopra, affinché alzandosi la schiuma si raffreddi e ricada nella stipa.
Finalmente, ed in appendice a questi brevi suggerimenti di assoluta importanza a qualunque proprietario il quale abbia a fare una vendemmia, è utile fare osservare in conclusione che per evitare il disgustevole sapore di terra, spesse volte rimarchevole nei vini della Sicilia, e precisamente quando le vigne non sono impalate, sarebbe molto necessario che nei mesi di luglio ed agosto si sollevassero da terra quei grappoli che possono toccarvi, usando all'uopo dei piccoli ali o canne biforcate, della lunghezza di uno a due palmi.

     Questi suggerimenti dati da Beniamino Ingham, che potrebbero ancora oggi essere inseriti in qualsiasi moderno trattato di enologia e di viticoltura influirono notevolmente sulla tecnica viticola ed enologica dell'epoca. Beniamino Ingham, però, sapeva che non era sufficiente una buona qualità; bisognava dare un'adeguata notorietà al prodotto e in tal senso egli svolse un'opera assidua ed instancabile. Creò una perfetta organizzazione commerciale; istituì' nei principali centri commerciali agenzie e rappresentanti e, grazie alle laute provvigioni che accordava loro e alle numerose navi che possedeva, riuscì a portare il Marsala sia sui mercati europei sia americani e australiani.
      L'opera dell'Ingham fu continuata dall'abile nipote Giuseppe Whitaker.
Gli inglesi acquistavano dai viticoltori della zona i vini, generalmente già molto alcolici, che poi "conciavano" in varie proporzioni con mosti cotti, mosti concentrati, mistelle ed alcol ed invecchiavano più o meno a lungo per ottenere i differenti tipi.
      Attualmente la produzione spazia dal giovane Marsala Fine, al Superiore, secco o dolce, al Vergine, lungamente invecchiato con il sistema "soleras", tipico dello Sherry. Il Marsala oggi è un prestigioso vino a Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.); nell'Inghilterra vittoriana esso si contendeva, con il Porto e lo Sherry, i favori della corte.
      Il primo stabilimento italiano fu realizzato, sempre a Marsala, nel 1832 da Vincenzo Florio. Si trattava di un grande e moderno enopolio, "baglio", modello di organizzazione e di efficienza tecnica, con numerosi centri di raccolta e depositi in varie località della Sicilia occidentale. Con spirito di iniziativa, con intuizione, con tenacia e con ausilio della più grande flotta mercantile del Mediterraneo, Vincenzo Florio riuscì' a diffondere il Marsala in tutto il mondo, sorretto da un'efficiente organizzazione commerciale. Egli fu il primo a creare in Italia un'agenzia di pubblicità e ad istituire diverse linee di navigazione a vapore, utilizzando i piroscafi costruiti in collaborazione con l'Ingham. E' stato anche precursore della moderna gestione economica e dell'organizzazione del lavoro. Alla ditta Florio guardavano allora le classi operaie del nord in lotta per la conquista di una normativa sociale a tutela del lavoro.
      L'opera di Vincenzo Florio fu proseguita dall'abile primogenito Ignazio, che il 19 luglio del 1862 ricevette a Marsala Garibaldi, di cui era sostenitore ed al quale dopo avergli fatto visitare lo stabilimento intitolò il Marsala G.D. (Garibaldi Dolce) ossia un tipo di Marsala Superiore Dolce, che sembra fosse piaciuto molto all'Eroe.
D'altra parte la visita di Garibaldi a Marsala, dopo i trionfi, era il giusto riconoscimento ai vini della zona, al "Marsala Victory Wine", che tanta parte aveva avuto nella sua impresa. Lo sbarco di Garibaldi e dei suoi "Mille" era stato favorito e reso possibile dalla contemporanea presenza nel porto di Marsala di due navi "gun-vesles" del Regno Unito di Gran Bretagna e dell'ubicazione in prossimità del porto degli stabilimenti vinicoli inglesi. Fu, infatti, il timore di colpire e danneggiare le navi e le industrie enologiche inglesi che in un primo momento impedì ai borboni di usare l'artiglieria, dando il tempo ai Mille di sbarcare. Le due regie navi inglesi, l'Argus e l'Intrepid non si trovavano nel porto di Marsala a seguito di un'intesa segreta con Garibaldi e per una protezione inglese allo sbarco dei Mille, come affermano alcuni storici, ma per difendere gli stabilimenti vinicoli. Esse erano arrivate nel porto di Marsala alle ore 10.00 dell'11 maggio 1860, ossia tre ore prima del Piemonte e Lombardo e lo scopo era di proteggere, come riferisce l'allora vice console di S.M. il Re di Sardegna, Sebastiano Lipari, i sudditi e gli interessi inglesi dalle esuberanze del generale borbonico marchese Letizia. Generale Letizia, che era venuto a Marsala, a seguito dell'insurrezione del 7 aprile aveva pubblicato una ordinanza che obbligava tutti i detentori di armi a consegnarle entro ventiquattro ore. Al rifiuto del console inglese Cosenz, che chiedeva "prima un cordone militare attorno gli stabilimenti vinicoli, onde tutelare e garantire in non pochi milioni di lire sterline dei proprietari sudditi britannici", il generale Letizia rispose perquisendo gli stabilimenti e sequestrando le armi trovate. Fu allora che il console inglese fece pervenire un dispaccio urgente alle autorità di stanza a Malta, per cui appunto tre giorni dopo arrivarono nel porto di Marsala i due vascelli britannici.
      L'unico vero aiuto e protezione ai "Mille" sbarcati in Sicilia venne, dunque, dal vino Marsala, che fu anche l'unica vera accoglienza e consolazione, vista la sorpresa e la perplessità delle popolazioni locali.
I baldi giovani, appena sbarcati, fecero subito amicizia con l'invitante prodotto della terra siciliana e non trascurarono di riempire "di vino marsalese la vecchia borraccia" prima di lasciare Marsala. Con Marsala essi ritemprarono le stanche membra nel corso delle battaglie e con il Marsala, Alessandro Dumas e Giuseppe Garibaldi a Palermo salutarono il successo dell'impresa.
      Accanto ai tre grandiosi stabilimenti di Woodhouse, Ingham e Florio, veri colossi della industri enologica, ne sono sorti successivamente altri che hanno contribuito al prestigio e alla rinomanza del vino Marsala. Tra le industrie produttrici di vini Marsala ricordiamo: Jhon Hops & Son (1810), Salvatore Amodeo & Figli (1837), Diego Rallo & Figli, Nicola Spanò Caracciolo & C. (1860) Giacomo Mineo (1862), Flli. Martinez (1866), D'Alì e Bordonaro, Vito Curatolo Arini (1875), Carlo Pellegrino & C. (1880), P. Mirabella e Figlio (1927), Intorcia Francesco & Figli (1930), Flli Fici, F.lli De Vita, F.lli Lombardo fu Giuseppe & C., Casano srl., De Bartoli Marco & C..
      Nel 1786, in Piemonte sorgeva, per iniziativa di Antonio Benedetto Carpano, l'industria del vermut, riprendendo l'uso, noto ai Romani e praticato in Toscana nel Medio Evo, di aromatizzare i vini con erbe e droghe aromatiche ed amaricanti. Benedetto Carpano ebbe il merito di avere iniziato la preparazione razionale del vermut, la cui produzione ed esportazione si è poi sviluppata ad opera di altre rinomate ditte, quali Bosca (1831), Cora (1835), Gancia (1850) Cinzano (1860) e Martini & Rossi (1863).
      Dal Piemonte, ben presto, la produzione del vermut si estese fino in Sicilia. Regione nella quale una menzione merita il Dott. Francesco Trapani (1900-1989), primo tecnico siciliano del settore laureato e specializzato all'estero, fondatore dell'omonima ditta, la maggiore esportatrice di vermut siciliani negli anni 40, fondatore (1930) e presidente della Cantina Sociale U.V.A.M. di Marsala, primo valido esempio di cooperazione vinicola in Sicilia.
      In Sicilia nel 1824 nasce la Casa Vinicola Duca di Salaparuta ad opera di Giuseppe Alliata Principe di Villafranca e Duca di Salaparuta, il quale decide di vinificare "alla francese" nella sua villa Valguarnera, presso Baheria, le uve "inzolia"provenienti dalla sua fattoria, in contrada Corvo di Casteldaccia, per farne un vino bianco di qualità, il "Corvo", da offrire agli illustri ospiti che frequentavano il suo palazzo. Nasce cos' il primo vino da tavola siciliano in bottiglia.
      Il Corvo viene ancora oggi prodotto con uve autoctone scelte tra le migliori in ambito regionale e con innovativi processi di vinificazione (criomacerazione, macerazione carbonica, etc.) e di affinamento (maturazione in botti o barriques delle migliori qualità ed in ambienti temocondizionati).

     Qualche anno dopo sempre in Sicilia, ad opera dei conti Tasca d'almerita si afferma e viene citata a modello un'altra grande azienda. Si tratta dell’Azienda Agricola "Regaleali" che produce vini ottenuti con uve provenienti quasi esclusivamente da vigneti di proprietà posti ad un'altezza di circa 500 metri s.l.m..

      I vini ottenuti sono frutto di ricerca e selezione clonale delle più pregiate varietà autoctone a frutto bianco e rosso e di cultivars nobili importate, quali lo Chardonnay, il Pinot nero ed il Cabernet Sauvignon, nonché delle tecniche colturali e di vinificazione adottate.

     Nel frattempo si accresce la fama e il prestigio oltre i confini territoriali e nazionali: in Piemonte del "Barolo", in Lombardia dei vino rossi della "Valtellina", in Veneto del "Valpolicella" e del "Soave".
Il "Barolo" comincia ad affermarsi nel 1850 per merito di un enologo francese Louis Oudart che, come tecnico della marchesa Falletti di Barolo prima e del conte Cavour poi scoprì le intrinseche qualità del nebbiolo e riuscì a rendere secco, stabile e invecchiabile un prodotto che prima risultava dolce e instabile. Esperienze furono condotte anche nella tenuta di Fontanafredda nelle colline di Serralunga d'Alba. Nel 1878 era stata infatti creata la Mirafiori Vini Italiana, oggi Fontanafredda ad opera del Conte Emanuele Guerrieri di Mirafiori, figlio del Re Vittorio Emanuele II e della "Bela Rosin", la Contessa di Mirafiori.
      Il Nebbiolo venne usato anche nella produzione del Barbaresco e del Gattinara che ben presto acquistarono buona notorietà.
      Buoni vini rossi secchi furono prodotti in Piemonte anche con vitigni quali il Barbera, il Dolcetto e il Grignolino. Sempre in Piemonte, per merito di Carlo Gancia il vitigno "moscato Bianco" non venne più utilizzato per produrre il cosiddetto "vino greco" dolce, ma un prodotto tipo champagne.
Vini "greci", alla fine del XIX sec., venivano prodotti nella Valtellina. Una specialità era appunto lo "Sforzato o Sfursat", ottenuto da uve appassite.
      Anche nel Veneto i migliori vini erano fatti con uve semi appassite quali il dolce ed alcolico "Recioto" od il secco e forte "Recioto amarone" dalla caratteristica vena amara.
      Nella regione di Vicenza si produceva il cosiddetto "Torcolato", in quanto ottenuto per torsione del rachide del grappolo, in maniera da arrestare l'afflusso della linfa ed ottenere la concentrazione degli zuccheri. A Treviso questa tecnica veniva attuata con il "Picolit", vitigno di cui è nota la scarsa produttività: i grappoli sono spargoli a causa della scarsa fertilità del polline. Gli acini che arrivano a maturazione risultano pertanto di elevata gradazione zuccherina e molto aromatici.
      Il "Picolit" è un vino bianco friulano amabile o dolce, ottenuto dall'omonimo vitigno a maturazione avanzata e talvolta dopo appassimento su graticci. Si caratterizza per essere un vino da dessert non maderizzato, dalla grande persistenza aromatica, con profumi complessi di fiori e miele. Il colore si deve mantenere sul paglierino più o meno carico; non è accettabile una colorazione dorata indice di ossidazione.
      Vini bianchi dolci da dessert a sapore semplice prodotti con uve appassite sono anche il "Vinsanto" toscano e trentino, il Caluso passito e il Recioto di Soave. Vino rosso dolce a sapore semplice ottenuto da uve appassite è invece il Recioto della Valpolicella. Esso, con il suo netto sapore di vaniglia è uno dei pochi vini adatti su dolci a base di cioccolata. Ai vini bianchi dolci da dessert, a sapore aromatico, appartengono invece il Moscato di Pantelleria, il Moscato naturale d'Asti, la Malvasia delle Lipari, l'Anghelu ruju.
      Nel 1875 in Piemonte Carlo Gancia, dopo molte difficoltà, avviava con successo l'industria dello "Asti spumante", utilizzando come vitigno il "Moscato bianco" ed applicando le tecniche usate per la produzione dello Champagne, che in quell’epoca era conosciuto nel tipo dolce. In Champagne il gusto dolce veniva conferito dopo la presa di spuma con l'aggiunta di sciroppi zuccherini; nel moscato bisognava arrestare la fermentazione durante la presa di spuma, in maniera da mantenere naturalmente dolce il vino spumante. Questo risultato si conseguiva eliminando le sostanze azotate indispensabili alla vita ed all'attività dei lieviti con ripetute filtrazioni in speciali sacchi di tela, ossia allora nei famosi "filtri olandesi". "questo sistema di preparazione dell'Asti spumante, fondato sul bilancio dell'azoto assimilabile dai lieviti ed oggi abbandonato, è strettamente legato ai nomi di Mensio e Garino-Canina e rimane uno dei vanti della tecnologia italiana.
      Il sistema attualmente in uso è quello della fermentazione in autoclave, effettuata in tempi rapidi e a bassa temperatura, che consente di esaltare le pregevoli caratteristiche aromatiche del Moscato di Canelli. L'Asti è oggi un vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (D.O.C.G.).
      Si deve ad Antonio Carpenè il perfezionamento della tecnica di spumantizzazione con il sistema "charmat"; sistema di rifermentazione in grandi recipienti che era particolarmente adatto, secondo il prof. Garino-Canina, "per gli spumanti tipo Asti e per tutti quelli che devono restare naturalmente dolci per conservare il caratteristico profumo e gusto aromatico del frutto". Tale metodo di rifermentazione era stato messo a punto dall'ing. Eugenio Charmat con autoclavi di ghisa, munite di intercapedine per il riscaldamento ed il raffreddamento delle masse in fermentazione e per la loro stabilizzazione. Il Carpenè introdusse la tecnica della "inattivazione termica", ossia di pastorizzazione del prodotto in bottiglia a temperatura moderata ed iniziò nel 1865 la produzione degli spumanti secchi. Nel 1868 fondò assieme ad Angelo Malvolti la ditta Carpenè-Malvolti ed introdusse il metodo Champenois di produzione degli spumanti; s’interessò alla distillazione di vini e vinacce.
      Carpenè fondò nel 1873 anche la Scuola di Enologia di Conegliano, alla quale poi si aggiunsero altri prestigiosi istituti ad Alba, Ascoli Piceno, Avellino, Catania, Cividale del Friuli, Conegliano Veneto, Locorotondo, Marsala, Siena, San Michele all'Adige. Istituti che hanno avuto un ruolo determinante nella formazione professionale e nello sviluppo tecnologico del settore vitivinicolo.
      Nel 1902 Giulio Ferrari fondava a Trento la omonima ditta e dava inizio con il metodo Champenois e con i Pinot alla produzione di pregiati spumanti. Con la buona preparazione di base acquisita alla Regia Scuola Agraria di San Michele all'Adige, alla Scuola Enologica di Montpellier e presso il Botanische Insitut di Gheinenheim, con l'esperienza fatta ad Epernay sulla produzione francese e con i riconoscimenti alla sua produzione divenne ben presto il punto di riferimento della spumantistica trentina. L'azienda è oggi nota in tutto il mondo grazie all'attività dei fratelli Lunelli, che sono rimasti fedeli al "Metodo Classico"di produzione.
      Nel 1905 anche la Casa Marchesi Antinori cominciò la produzione dello spumante classico, utilizzando il vino bianco prodotto nella fattoria di Cigliano. L'Antinori si è sempre distinta per l'alto livello qualitativo dei suoi vini, prodotti principalmente in Toscana ed Umbria nelle tenute di proprietà (950 ha di vigneto specializzato).
      Nello stesso anno, nell'Oltrepò Pavese, ad iniziativa di Gustavo Favarelli, venne costituita la Cantina Sociale di Santa Maria della Versa. Scopo della società era quello di "confezionare uno o più qualità di vino a tipo costante e di promuovere la vendita nell'interesse comune". Nello statuto sono state previste sanzioni e penalità per i soci che non conferivano le uve migliori o che le conferivano avariate.
      In Puglia, specialmente a Brindisi e Barletta, nel frattempo si preparavano i cosiddetti "filtrati dolci". Le conoscenze sull'uso e sulle azioni dell'anidride solforosa favorivano, intanto, l'industria dei "mosti muti" e conseguentemente dei "mosti concentrati".
      In tutte le zone progressi non trascurabili vengono fatti nella tecnica enologica, sfruttando anche i miglioramenti conseguiti in campo viticolo. I progressi si verificano maggiormente nelle zone dove sorgono cantine padronali o sociali e società industriali ben organizzate ed attrezzate. Non si sviluppa e perfeziona solo l'industria e la preparazione dei Marsala, dei Vermut e degli Spumanti, ma anche quella dei cosiddetti vini da "dessert", ossia di vini alcolici, aromatici, passiti, da fine pasto, quali i Moscati passiti di Canelli e Pantelleria, i Moscati liquorosi della Sicilia, i Moscati della Puglia, la Vernaccia, la Malvasia e la Monica della Sardegna, i Vini santi dell'Umbria e della Toscana, l'Albanello nero di Siracusa e lo Zucco bianco di Palermo.

     Anche la produzione di vini da taglio, tipici delle regioni meridionali, e dei vini da pasto fa sensibili progressi. In ogni regione d'Italia si producono ottimi vini. Grandi progressi vengono fatti anche nell'ambito della distillazione.
      Attualmente l'enotecnia italiana è invidiata nel mondo; vi sono alcune aziende che primeggiano e sono ammirate per l'alta tecnologia, per la qualità dei prodotti e per le capacità imprenditoriali. Tra queste non si può fare a meno di citare, oltre a quelle già menzionate, Banfi, Zonin, Berlucchi, Bellavista, Leone de Castris, Sella e Mosca, donnafugata, Gazi Battaglia, Bertani, Pasqua, Lamberti, Bolla, Mastroberardino, Ruffino, Rapitalà, Fontanacandida, Chiarli, Guerrieri-Rizzardi, Mezzacorona, Gruppo Italiano Vini, Lungarotti, Avignonesi, Felluga, Pighin, Bigi, Pio Cesare, San Felice, Distilleria Bertolino. Un ruolo importante nell'evoluzione vitivinicola italiana ha avuto anche la cooperazione. Basti citare cantine e consorzi cooperativi quali: Cavit, Cantina Sociale Soave, C.I.V. di Modena, Riunite di Reggio Emilia, Caviro, Cantina Sociale Locorotondo, Coltiva, Corovin, Cantina Sociale Settesoli di Menfi e Cantina Sociale Europa di Marsala. Nella nostra esposizione continueremo a menzionare nomi di vini e di ditte, non per fare pubblicità, ma cultura. Un vero intenditore deve conoscere i vini e le marche migliori. A tavola non basta dimostrare di conoscere i vini migliori e più adatti, ma anche chi li produce e possibilmente la loro origine e tecnica di produzione.