Ortrugo
sin.
Ortrugo di Rovescala; citato dal Molon nel 1906, altrugo; dal Bramieri nel 1918.
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Storia:
Questa varietà a bacca bianca originaria del territorio piacentino è descritta per la prima volta agli inizi dell'Ottocento, quando il Bramieri la cita usando il termine Altruga; in seguito compare nel bollettino ampelografico del Ministero dell'Agricoltura del 1881, dove stava a significare ''altra uva'' rispetto a quelle più importanti con le quali era assemblata. L'odierna dizione Ortrugo è utilizzata per la prima volta da Toni (1927), che lo annovera tra i principali vitigni bianchi da vino della provincia di Piacenza. Molon (1909) gli riconosce similitudine con il vitigno chiamato Ortrugo de Rovescala dei dintorni di Stradella, nell'oltrepò Pavese.
Recuperato negli anni Settanta da un'azienda in Val Tidone, ha conosciuto un allargamento deciso della coltivazione in tutta la fascia collinare piacentina fino agli anni Novanta, a partire dai quali si è registrato un progressivo restringimento della superficie vitata. Resta comunque una della varietà più importanti del Piacentino. |
Diffusione:
E' coltivato quasi esclusivamente nel territorio della provincia di Piacenza. Contemplato come tipologia in purezza della Doc Colli Piacentini. Ha una discreta diffusione nell'Oltrepò Pavese, nei comuni ai confini con l'Emilia. |
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caratteristiche sensoriali del vino: questo vitigno è vinificato nelle tipologie spumante, frizzante e fermo: le prime due danno un vino più immediato e brioso, spesso segnato da profumi fragranti, di corpo leggero e con acidità sostenuta. La versione ferma, tradizionalmente prodotta senza utilizzo di legno, è più strutturata e alcolica, dal sapore asciutto e sapido e di buona e fresca aromaticità. |
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